Ovosodo

Pubblicato: 26 aprile 2013 in Il me dentro me

Il titolo è una provocazione a me stesso. C’era questo film, che dovevamo vedere in classe, di Virzì (che tra l’altro non m’è piaciuto – il film), che veniva citato ad ogni lezione. Ogni lezione. E non l’abbiamo mai visto. M’è toccato vedermelo in privato, col nervoso di averne solamente sentito parlare prima ma non averne potuto parlare dopo.
Ma alla fin fine, quest’uovo credo di sapere cosa sia.
Il 2013 non è un anno felice.
L’anno scorso ho rasentato quasi il fondo, mi dicevo che qualunque cosa fosse venuta dopo, sarebbe stata migliore.
Poi ho imparato che non c’è mai un vero fondo. Tranne la morte, ovvio, ma quella non m’interessa.
Potrei sopportare qualunque cosa, se solo si verificasse un fatto, uno qualsiasi, che mi dia uno sputo di speranza. Che mi lasci intendere che in realtà i giorni che trascorrono a fiotti non sono inutili. Che sto costruendo qualcosa.
Cosa cazzo sto costruendo?

Questo post è abbastanza particolare. Più un flusso di pensieri. Non sapevo neanche cosa scrivere, di preciso. D’accordo, sentivo la mancanza di un blog. Forse la mancanza della scrittura. Pure quella mi hanno tolto. Tempo. La peggior falsità che il sociale possa inventarsi. Assieme al paragone, ma non ho voglia di paragoni, adesso.
Il poco tempo a disposizione (ma disposto da chi?? Chi lo concede sto cazzo di tempo?!) è capace di annullare le persone, di annebbiare la vista, di annebbiare gli stessi sogni. Poi va beh. Non sono un tipo fortunato, o forse semplicemente non sono capace a crearmi la fortuna.
Vorrei solo del tempo.

Ho passeggiato a lungo, da solo, negli ultimi giorni. Ho ammirato lo scorrere dell’acqua, una delle poche dolcezze da cui lasciarmi accarezzare.  Ho voluto pure farci un video, ultimamente sono fissato. Credo sia il desiderio di immortalare quel poco di bello che riesco ad abbracciare. Come a congelarlo -nel tempo? di nuovo? – , come a farne un ricordo.
Alla fine, una fotografia è un ricordo. Lo stesso vale per una pellicola, o un clip video. Le immagini che stanno al di là della nostra rappresentazione mentale e istantanea diventano ricordo nel momento stesso in cui si distoglie lo sguardo. Anche questo post per me diventerà ricordo. Forse allora potrei aggiungere una sfumatura d’appartenenza. Questo post m’appartiene, è di mia proprietà, di mia creazione. Ma alla fine, chissenefrega. Per chi legge -se qualcuno avrà così tanto coraggio di farlo – non sono altro che banali righe lette e stralette, scritte anche frettolosamente da una persona qualunque. Tanti altri avranno scritto roba più nostalgica e malinconica di questa.
Alla fine, l’unico sintomo della mia appartenenza è il sentimento. E quello lo posso sentire solo io.

Credo di star perdendo un po’ alla volta la capacità (o la voglia) di sorridere. E siccome non ne capisco bene il motivo, mi appello al titolo del post, del film. Ma se sto a sentire quel cacchio di film, non troverò risposta, e dovrò imparare a conviverci.

Il seguente post è un riassunto parodico del manga di One Piece, manga che, premetto, amo alla follia, e in quanto tale mi piace anche poterci ironizzare.
Non sono contenuti spoiler, in quanto l’isola degli uomini pesce è esclusa dal racconto (verrà ripresa insieme alla saga che la segue in un secondo momento, per la continuazione della parodia xD).
Spero riesca a strapparvi qualche sorriso, ad ogni modo buona lettura ^^

One Piece: Parody edition

“Scimmia Di Rufy” (detta anche Luffy, Liuffy, Gomma o come vi pare) è fatto di gomma (encomio speciale ai fantasiosi nomi italiani) e vuole diventare re dei pirati.
Allora salpa dapprima su una botte, poi su una barchetta fatta di schegge, per creare una temibile ciurma: recluterà un maniaco di spade, una ladre pazza, un codardo, e un tipo che sogna di trovare un mare bello in cui pescare in santa pace in compagnia della pazza.
Dopo aver tirato pugni contro “temuti” pirati e pesci parlanti, Gomma si monta la testa e crede di essere forte (e il resto del mondo glielo lascia credere).
Procedendo nell’avventura conosce una principessa (Bibi, Vivi, ecc.) che lamenta di aver perso il suo regno, che si scoprirà fatto di soli deserti, e siccome Gomma non aveva niente da fare, dopo aver reclutato un procione parlante perché fa figo, decide di sconfiggere l’usurpatore Coccodrillo, fatto di sabbia, guarda caso.
Per l’occasione sceglie di sfoderare la sua nuova celebre frase “Ma levati!” che dev’esser per regola seguita da un pugno per fare bella scena, e con quel pugno stende il Coccodrillo.
La principessa lo ringrazierà con un “bagno alle terme”.
Dal nulla compare una Tipa che decide di aggregarsi, di cui per lungo tempo i fan si sono domandati quale fosse il nome e quale il cognome (e forse ancora alcuni devono arrivarci).
Ripreso l’allegro viaggio, Scimmia Di Gomma si imbatte dapprima in un barbone che gli ricorda che i sogni sono belli, poi in un rapper che si veste con boa piumati (o meglio, non si incrociano perché il rapper arriva con due giorni di ritardo durante i quali Gomma ha già fatto in tempo ad ammazzare un Dio), ed infine, per l’appunto, un maniaco che forte del suo imbattibile potere di fulmini, vuole essere Dio (secondo l’Italia, un supremo).
Ma ripetendo la celebre frase da spaccone, scagliato il suo solito pugno, Gomma, che è fatto di gomma, stende il dio (o supremo..).
Così prosegue il viaggio felicemente su un’isola dove tutto è lungo (e di doppi sensi ne spuntano parecchi), e lì incontra, nell’ordine, un vecchio che vive sui trampoli da anni, un nanetto con la testa a punta,ed un Pigro.
Il Pigro dice al gruppo di non fidarsi di Nico Robin (la cosiddetta Tipa del regno della sabbia), che puzza e ha la malaria.
Siccome Gomma non ci crede, vuole fare secco il pigro per ripicca, ma ha fatto male i conti.
Probabilmente l’autore si è reso conto che la solita frase da spaccone non poteva funzionare in eterno, quindi, quando il solito pugno ha già preso il via, l’autore decide di intervenire personalmente e fa in modo che il Pigro glielo congeli.
Ma siccome il pigro è pigro, ha pietà e va via, ma non prima di congelare anche la Tipa per dispetto.
Sopravissuto, Gomma ironizzerà la bruciante sconfitta imitando se stesso in versione sardina da congelatore.
Passati all’isola seguente, Gomma e i suoi terribili compagni giungono a Venezia, e lì succedono un po’ di cose.
Gomma inizierà a credere alla malaria della Tipa, e sceglierà di bruciare la nave per disinfestarla; Il codardo non sarà d’accordo, e improvvisamente troverà il coraggio di ribellarsi al capitano idiota (un encomio a Un Pezzo, l’unico manga nel quale i deboli diventano forti solo quando si tratta di litigare col protagonista).
La Tipa, offesa per l’accusa della malattia, se ne va piangendo tra le braccia di un gatto parlante e i suoi amici mafiosi, a loro volta amici del pigro, scegliendo di non vedere più Gomma. Si scoprirà in seguito che in realtà aveva solo paura di attaccargli la malattia.
Gomma intanto vince sul codardo versione forte perché è il protagonista.
Poi, ancora incazzato per l’accaduto, va a sfasciare la “casa” di alcuni barboni, e non contento vuol ritrovare la tipa.
Gli abitanti di Venezia iniziano a credere che “Quelli Di Gomma” siano appestati e gli danno la caccia.
Anche il Gatto inizia a crederlo, tant’è che mette a fuoco un palazzo in cui Gomma si era rifugiato, ovviamente per disinfestare.
Nel frattempo compare il capo dei barboni che vuole vendicarsi, ma costui scopre che in realtà la Tipa non è malata, quindi innocente, ma è troppo tardi: I nuovi amici della Tipa non vogliono il contagio, allora la portano lontano da Venezia, tramite il treno di Mestre, diretti alla prigione.
Il Boss barbone incontra il codardo (che ha nuovamente perduto l’autostima) svelandogli che la tipa non è malata; ma lui, fregandosene di lei, capisce soltanto che la nave non è contagiata. Il boss barbone però gliela sfascia lo stesso perché gli fa cagare.
Alla scena assistono gli amici del Pigro (Gatto e compagni), che non volendo testimoni, portano via anche Boss.
Il codardo si salva perché è un codardo.
All’improvviso Gomma, che fino adesso ha cazzeggiato, s’incazza perché la tipa non è malata e non merita la morte, e per il salvataggio si allea con i barboni e i veneziani, che alla buon’ora hanno capito la verità.
Così tutti insieme appassionatamente si dirigono all’isola giudiziaria di Enies Lobby, gridando a destra e a manca che “La tipa non è malata!”.
Questa vicenda è molto importante perché si scopre che il cognome della Tipa è Nico.
Costei, esasperata, grida (tutti gridano sempre, si) che ha fatto il vaccino perché vuole vivere.
Gomma inizia a dare pugni a chiunque gli capiti a tiro, arrivando finalmente a scontrarsi con quel bel micione di Lucci (che in realtà odia il mondo per il nome che gli hanno dato da piccolo: la prima volta che l’hanno preso in giro, ha ammazzato cinquecento persone, a tredici anni).
La tensione è talmente alta che il governo mondiale decide di disinfestare l’isola per sicurezza, quindi la rade al suolo.
Ma siccome Gomma è ancora il protagonista, vince, ovviamente gridando.

Anche se la Tipa ora per certo non ha la malaria, la nave Merry viene ugualmente bruciata con la scusa che Boss l’aveva sfasciata.
Per vendicarsi della sua non colpa, la ciurma gli ruba le mutande, e non contenti pretendono anche una nave nuova.
Così si guadagnano l’appellativo di ciurma cattiva, e ad ognuno viene data una taglia.
Ed ecco arrivare un vecchio, che in realtà è il nonno di Gomma, che rivela al nipote di avere un padre , e tutti ne sono sconvolti.
Infine, prima di risalpare, si scopre che le sirene possono essere racchie e vecchie.
Qui inizierà un’epopea colossale, durante la quale si inizierà a dire che l’isola a seguire sarà quella degli uomini pesce, e per soli 20 fumetti, e un equivalente di circa 190 puntate si tenterà di arrivare a questa cazzo di isola; Alla fine, giunti estenuati dopo due anni, il cuoco maniaco sarà diventato gay e intollerabile alle donne gnocche, la ladra e la tipa avranno quadruplicato i seni, il codardo sarà diventato obeso, lo spadaccino cieco, Gomma l’incredibile Hulk, e Boss… lasciamo perdere.
Tutto questo movimento si diramerà in infinite saghe: dapprima Gomma avrà a che fare con uno spiritello strano e grasso che ruba le ombre, poi con un orsetto dispettoso che fa esplodere isole e sparire gente, poi con una brutta fotocopia del cuoco (a quel tempo ancora maniaco), ed infine con tizi che si credono Bravi con le teste dentro delle bolle.
Ma siccome a Gomma stanno sul cazzo, dà un pugno ad uno di loro, forte del fatto che era da parecchio che non faceva più lo spaccone, e che comunque è ancora il protagonista.
La cosa fa incazzare un sacco di gente, e intervengono a punire Gomma soldati, cloni dell’Orsetto, un Obeso, un tizio fatto di luce, e Orsetto stesso.
Gomma inizia a cagarsi sotto, ma per sua fortuna un vecchio gli salva il culo.
Ad ogni modo Orsetto, dopo aver sussurrato sconce parole al vecchio per distrarlo, riesce a far sparire tutta la ciurma di Gomma, quest’ultimo compreso.
Non che la cosa a Gomma dispiacesse; Difatti finisce su un’isola di donne nude che vorrebbero sodomizzarlo.
Anche la loro principessa, gnocca da paura, vorrebbe stuprarlo.
Ma certe cose a Gomma non interessano (interessa invece a queste donne un certo fungo che si allunga) e vuole andarsene.
Ma ecco che viene a sapere che suo fratello (che in realtà non lo è) è stato rapito da sadici omini, e deve salvarlo.
Prova a recarsi direttamente in prigione, nascondendosi sotto le vesti della Gnocca senza ovviamente secondi fini, ma qui gli fanno il culo un’altra volta, lo avvelenano, e sta per schiattare.
Ma siccome finalmente il mangaka si ricorda che Gomma è il protagonista, e che se lui muore l’autore non guadagnerebbe più, gli rinnova i punti fortuna.
Ed ecco che riesce a trovare un’alleanza con tre della flotta dei sette, con gay potenti, un pagliaccio e tizi di cera, e si reca alla più grande battagliona di Un Pezzo.
Una volta lì, l’autore rincara la dose e regala al protagonista il potere di far svenire alla gente gridando (quindi dovrebbe riuscirgli bene).
Ma la situazione sfugge di mano anche al mangaka, che s’è reso conto di aver messo in mezzo troppa gente più potente di Gomma, e non ha più idea di come fargli salvare la pelle.
Quindi, contro la sua volontà, è costretto a disegnare Gomma in fin di vita, suo fratello schiatta, e Gomma inizia ad essere mogio, giù di morale, perché è da un po’ che perde sempre.
Fortunatamente un pesce gli ricorda che ci sono ancora i suoi amici, in giro per il mondo, e lui , con rinnovato entusiasmo, esclama “Oh già, è vero!”.
Ma non ha più voglia di fare lo spaccone, dopo tutte la bastonate prese, e per due anni si fa allenare dal vecchio.
Passano ‘sti caspita di due anni e finalmente si rivede coi suoi vecchi compagni.
190 puntate, 20 volumi sono trascorsi. E’ ora di andare nell’Isola dei pesci, e alla buon’ora la storia può finalmente andare avanti.
Tra l’altro, tempo addietro, si era unito a loro uno scheletro, ma tanto nessuno lo caga e dunque non è rilevante.

TO BE CONTINUED…

Rimpianti

Pubblicato: 12 febbraio 2013 in Ray School

Alcuni giorni fa mi si è aperta un’occasione, un’occasione che non è stata offerta soltanto a me, ma a centinaia, forse migliaia di persone.
Nonostante ciò, ho potuto assaporare, toccare concretamente un’occasione.
Credo di non averci speso neppure un minuto a riflettere. O forse un minuto si, ma non oltre, e se l’ho fatto è soltanto perché mi sono ritrovato spiazzato, schiacciato dietro una vita di nulla, di vuoto, dove non è mai accaduto dannatamente niente di tanto grande da potermi cambiare la vita, se non in negativo.
Ho subito colto la palla al balzo, ho subito accettato, e inviato la domanda, accolta, per accedere a questa occasione.
Non ne parlerò apertamente, perché non voglio smorzare l’entusiasmo di una cosa che, so quasi per certo, non potrò mai fare.
Ho sempre visto un bicchiere mezzo vuoto, ma forse questo è stato uno dei miei più grandi limiti.
Ho imparato col tempo che bisogna avere un po’ di fiducia in se stessi, per vivere, ed io questa fiducia non ce l’ho mai avuta.
Eppure, alcuni a volte mi hanno detto che sono bravo, che in certe cose sono competente. Non mi sono mai fidato degli apprezzamenti altrui, dietro i quali c’è il pericolo che si nasconda la pietà, e la menzogna di conseguenza, pur di “far piacere” o non avvilire.
Ma costoro, gli altri, ogni volta che apprezzavano qualcosa di me, restavano ignoranti di fronte alla negatività che io nutrivo nei miei confronti. Di conseguenza, non ho mai potuto capire se quelle lodi fossero sincere o meno.
Mi fidavo solamente di me stesso, ma come realizzare un parere oggettivo basato su me soltanto, se io ero talmente negativo?
Poi col tempo è scattato qualcosa. Credo sia stato ai tempi in cui mi sono messo a scrivere il mio primo vero romanzo impegnato, Impero, che tra l’altro non ho mai pubblicato ma vorrei farlo.
Lì per la prima volta è accaduta una scintilla: qualcosa fatto da me, creato con le mie mani, mi piaceva.
E mi prendeva gusto assaporarlo, continuarlo, rifletterci, farlo leggere agli altri.
Ed ecco che i ruoli improvvisamente hanno iniziato ad invertirsi: qualcuno ha iniziato ad osservare le mie opere in maniera oggettiva, criticandole se andavan criticate, ed io a difenderle.
Da allora, ho capito che non solo io, ma chiunque metta della buona volontà in ciò che fa, non produce merda. Perché produce sentimento. Se qualcosa è fatto col cuore, con l’anima, non può essere spazzatura. Anche fosse il prodotto più brutto di questo mondo.
Bastava del sentimento in ciò che facevo.
E allora ho iniziato a credere di poter fare qualcosa, di poter aumentare almeno un po’ la mia fiducia. E ho creato le sceneggiature, e i cortometraggi, e ho deciso di mia iniziativa di imparare anche a montarli.
Finalmente vedevo qualcosa di mio prendere il volo.
Tutti in fondo speriamo prima o poi che qualcosa di nostro faccia successo, credo sia l’aspirazione di ogni produttore di amatorialità.
E riuscire un giorno a pubblicare un video su un mio canale, con me attore, un video scritto da me, diretto da me, e montato da me, ha fatto di me proprietario di quel video. E tutti coloro che lo hanno visto o lo vedranno in futuro, faranno riferimento a me soltanto quando dovranno apprezzare o criticare.
E questo mi è bastato a rendermi diverso, a rendermi partecipe di un progetto più grande.
Quando poi mi si è presentata questa occasione, non ho potuto fare altro che ribadire, di nuovo, che qualcosa so fare.
Sarà un test, andrò a verificare se quella cosa poteva andare per me. Nessuno può fare tutto, questo è vero.
Ma non ci si può permettere di saltare, di ignorare, di perdere un’occasione. L’occasione non è solamente un concetto colorato di soldi creata ad hoc per sfondare e far successo. L’occasione è un momento nella vita che non ricapiterà. E’ un momento che se ignorato potrà generare rimpianto. E il rimpianto è uno dei peggiori mali che affliggono l’uomo.
Morire con un rimpianto è la cosa più triste che possa capitarci. Provate a pensarci, a pensare a quante cose potrebbero essere andate diversamente nella vostra vita. Se qualcuna di queste , al solo pensiero, riesce a stringersi intorno al vostro cuore, a mozzarvi il fiato, a farvi male, allora saprete che a quella cosa avevate tenuto veramente. E avrete un rimpianto.
Non mi importa assolutamente come andrà a terminare questa avventura. Ma ciò che conta, è che non avrò il rimpianto di dire di non averci almeno provato.
Questo mio post è diverso da un po’ tutti i precedenti basati su di me, sui racconti della mia vita. Qui voglio invitare tutti coloro che mi leggeranno.. voglio invitarvi ad aver fiducia delle vostre capacità, a non farvi intimorire da nulla. Perché se lo farete, è probabile che non potrete tornare indietro. E ricordate, un rimpianto non potrà mai esser cancellato dal vostro cuore.

Ricordi – Parte 2

Pubblicato: 24 dicembre 2012 in Il me dentro me

Un ricordo che mi lega alle elementari, in questo caso ai primi anni di elementari, è un’amicizia con un bambino marocchino (tuttora mio amico). Ricordo che gli piaceva molto disegnare dragon ball, che realizzava dei bei disegni dei personaggi, in fogli A4, e li colorava anche.
Così una volta (giuro, non eravamo neanche in terza elementare) avevamo deciso di vendere quei disegni in giro per la scuola. E ricordo che ne avevamo un bel malloppo, almeno una decina. A quel tempo c’erano le lire. Non ricordo a quanto li vendevamo quei disegni fatti a mano, ma forse guadagnammo sulle dieci mila lire (con la vendita di due – massimo tre disegni). Poi ci sgamarono e ce li requisirono.. effettivamente, eravamo troppo piccoli per renderci conto dell’illegalità del lucro in questo modo.
Non conoscevamo ancora la finanza, dopotutto xD
Con la stessa persona, conservo altri due ricordi, uno negativo per me, un altro per lui.
Circa il primo , ero ancora in ambito elementari. Credo che vi stia per raccontare uno dei miei traumi d’infanzia.
Lo ricordo come fosse ieri. Durante la lezione (presumo di italiano, visto che ricordo perfettamente ancora oggi la maestra in questione) questo mio amico aveva chiesto di potersi alzare per andare a bere dell’acqua (avevamo in fondo alla classe un tavolo sopra cui stavano bottiglie d’acqua e bicchieri). Quando lui si alzò, mi resi conto d’aver sete pure io, e domandai lo stesso permesso. Mi recai in fondo alla classe per bere, ma nel mentre che versavo acqua nel mio bicchiere, il mio compagno mi fece una battuta, alla quale non avevo neanche riso, a malapena sorriso. E non avevo aperto bocca. Sono sempre stato serio e timido, a scuola. Mi è capitato pochissime volte d’esser ripreso (per lo più alle superiori o al limite alle medie; Praticamente mai alle elementari, salvo per quella faccenda dei disegni che vendevamo), al contrario di questo mio amico marocchino, comunque abituato a esser punito mandato fuori dalla porta o dietro alla lavagna quasi fosse uno sport.
Ecco, tornando alla situazione che vi stavo raccontando.. acqua versata nel bicchiere.. battuta sottovoce.. sogghigno.. e subito la maestra che si rivolgeva a noi due “Se avete voglia di chiaccherare, andate fuori dalla porta”. Non capivo. Dove avevo sbagliato? Cosa avevo fatto di male? Non avevo neppure parlato, mi ero anche sforzato di non ridere. Provai ad aprir bocca a ribattere, già in preda all’ansia, col cuore che pulsava “Ma maestra..”. Avevo dannatamente paura. Probabilmente piansi. Non mi era mai capitato. La maestra irremovibile ripeté “Fuori dalla porta”.
Provai dell’odio, forse. Ma più di ogni altra cosa, rammarico. Perché ancora oggi non ho capito dove avessi sbagliato.
Forse lei aveva udito qualcuno tra noi due parlare (lui con la sua battuta) e alzato lo sguardo poteva aver visto me sorridere, pensando dunque che stessimo perdendo tempo in chiacchere. Non ricordo neanche se riuscii a bermi quel bicchiere d’acqua.
Si, comunque piansi molto, fuori dalla porta. Il mio amico invece, come comprensibile, se ne rimase calmo. Forse andò a farsi un giro per il corridoio.
Quella maestra non poteva rendersi conto del torto che stava compiendo. Ma inconsapevolmente, per una propria svista, per una ripresa inopportuna, fu capace di imprimere un trauma infantile (e ricordo negativo) nella memoria di un bambino innocente.
Comunque, cambiando discorso, l’altro ricordo circa questo mio amico di cui parlavo riguarda invece le medie. Vita dura, le medie. Un giorno ne parlerò molto approfonditamente. Esisteva del razzismo, in classe. O forse era venuto fuori con l’età che avanzava. Ma ricordo che spesso i miei compagni ce l’avevano con lui. Lo additavano senza rendersi conto dei macigni che usavano come parole. “Negro di merda!” e simili. In realtà lui , pur essendo a volte manesco, sapeva controllarsi, o meglio, sapeva rispondere a parole. Magari insultando a destra e a manca, ma non aveva granché bisogno di protezione. Ma una scena in particolare non dimenticherò. Il pulmino parcheggiato nel cortile sotto scuola, io già seduto dentro. Questo mio amico e qualcun altro ancora fuori. Litigavano. E a un certo punto, qualcuno gli ha sputato addosso, in faccia. Non sono intervenuto, oggigiorno l’avrei fatto, ma a quel tempo ero troppo chiuso in me stesso e non sarei comunque stato capace di fare niente. Intervenne l’autista dell’autobus a placare gli animi e a ordinare a tutti di salire. Lui si pulì il volto in silenzio. Dimostrò una certa forza in quell’occasione. Non so cosa stesse pensando, anche perché in Italia ci viveva fin da piccolo. Eppure non stava piangendo, ma neanche tentava di ritrovare il litigio. Semplicemente, si sedette, e in silenzio fissò il finestrino.

E’ da un po’ di tempo che ci sto pensando. Parlare dei miei ricordi. Dev’essere doloroso, in effetti. Poco importa che siano bei ricordi.. come diceva una certa frase che ho sentito moltissimo tempo fa – e purtroppo non ricordo da dove- “I ricordi sono sempre tristi. Se sono brutti, perché sono amari. Se sono belli, perché sono ricordi”.
Non c’è mai stato un singolo momento nella mia vita in cui sia riuscito a dire di questa frase il contrario. E’ una verità assoluta. Parlare di ricordi infonde in me un’indicibile tristezza. Non per niente lo farò a più riprese. Non per niente lo farò in tarda notte, quando ogni altro futile pensiero della giornata si sarà allontanato, e io sarò rimasto solo con me stesso. E pervaso di tristezza, inizio col parlare di ricordi d’infanzia.
Ricordo che alla scuola elementare avevo pochi amici, e due erano stretti. Purtroppo per me, come è giusto che sia per un bimbo di quell’età, non sapevo cosa significasse vera amicizia,e tenevo saldi i rapporti con gli altri cercando di accondiscendere. Sai com’è… passare i compiti a scuola… prestare penne o fogli protocolli che sapevi non avrebbero più fatto ritorno… invitarli a casa, e giocare alla playstation nei giochi che piacevano a loro e che invece a me disgustavano (formula uno e fifa) solo per avere un pretesto per averli affianco. Ricordo che spesso venivano in coppia, e che giocavano in coppia. Peccato che i joystick fossero stati due. E io restavo sempre a guardare.. Non gliel’ho mai detto, ma sarebbe piaciuto anche a me giocare.
Non che non l’abbia mai fatto, ma mi sono rimaste impresse alcune scene in cui mia madre mi chiamava in cucina per sussurrarmi “Perché non giochi?”. Quello era il momento peggiore, perché dovevi fare i conti con la verità, e non dava piacere.
Ho avuto molti amici di infanzia. Me ne ricordo 8 principali (se conto solo il periodo delle elementari.. poi se ne è aggiunto qualcuno di cui parlerò in futuro.) Purtroppo non frequento più nessuno di loro, ma non nascondo che mi piacerebbe tornarci a parlare. L’amicizia d’infanzia che dura nel tempo credo sia una delle cose più belle della vita. E anche se non li rivedrai più, resteranno comunque un bel ricordo. A meno che , tornando alla frase di partenza, il ricordo non sia amaro.
Ho prestato molte cose, da piccolo. Da giochi per il computer che spesso dimenticavo addirittura a chi li avevo prestati (il signore degli anelli il ritorno del re, the sims, sims city 3000, age of empire, roller coaster tycoon 2 ecc ecc) a cose più stupide come micromachines. Ricordo che da piccolo diedi via una macchinina con una riga juventina, era bianca e nera. Quel mio amico (che in realtà era solo amico di un mio amico, e che non vedevo quasi mai) me l’aveva chiesta con grande insistenza, e io avevo fatto molta fatica a regalargliela. Lì per lì lui mi disse che gliel’avrei prestata e basta, che me l’avrebbe riportata. Sapevo non sarebbe stato così , ma non me ne feci una colpa.. quella macchinina l’avevo rubata pure io a mio cugino, e credo che tutt’oggi lui non lo sappia.
Era per me liberarmi di un misfatto.. ma era comunque doloroso. Sono sempre stato molto attaccato alle mie cose.
Alla stessa persona delle micromachines, una volta mi vendicai lasciando che mangiasse una caramella tutti i gusti +1.
Era appena uscito il primo film di harry potter, e al cinema le vendevano in pacchettini di caramelle simili a smarties; Ma in alcune di esse era stampato un piccolo simbolo (non ricordo se fosse l’H di Harry o il fulmine della sua cicatrice), e queste avevano sapori veramente disgustosi, degni di ciò che si raccontava nel film. Anche a me capitò di mangiarne una, e quella volta, quando quel ragazzo prese in mano la caramella col simbolo , incuriosito, l’osservai divertito mentre la masticava e mentre il suo volto cambiava in un’espressione di disgusto. Fu molto divertente, ma ovviamente feci lo gnorri.
L’amico di questa persona invece, era stato il mio migliore amico d’infanzia, e ancora oggi spero di poterci un giorno riparlare. Ci incontrammo per la prima volta al campetto da calcio del mio paese. Lui aveva 5 anni più di me. Ci frequentammo per molti anni, fino a quando lui non andò alle superiori, poi gradualmente fu sempre più impegnato.
Piangevo spesso, nel periodo fine elementari- medie, quando volevo vedermi con questa persona ma lui non poteva.
Conservo molti bei ricordi con lui, legati sopratutto ai videogiochi, ma anche al pallone da calcio.
A casa sua giocavamo a dragon ball sulla playstation 1.. al ritorno del re sul computer.. facevamo feste di capodanno coi botti.. giocavamo nei campi, ma qui i miei ricordi son confusi. Aveva un bellissimo giardino e un recinto per galline.. forse l’avevamo trasformato in una base segreta , ma non ricordo bene.
Possedeva una casa su un albero. Ho sempre sognato di poterci un giorno salire, ma non l’ho mai fatto.
Un giorno ricordo che disse a me e a quel suo amico “Sapete cos’è l’ impotenza?” “no…” “E’ quando ce l’hai sempre ritto e non riesci neanche a pisciare”.

Lo so lo so.. sono ricordi sconnessi, ma appunto per questo sono ricordi. Potrei continuare a parlare per ore, ma si è fatto tardi e di cose da dire ne avrei una miriade.. forse al prossimo appuntamento parlerò dei miei ricordi delle medie.. o forse continuerò quelli delle elementari.. vorrei portare tutto per iscritto per me. Per non dimenticare.
So che non dimenticherò, ma questo servirà a ricordarmi che degli avvenimenti ci sono stati. Che delle amicizie le ho avute. Che non sono mai stato solo nella vita, pur avendolo sempre creduto. E forse lo sono anche adesso, solo. In un certo senso.