Respiro e lacrima

Pubblicato: 12 dicembre 2013 in Il me dentro me

Da dove arriva questa malinconia?
Quale desiderio covo da un po’ di tempo a questa parte?
Perché mi sento attratto dalla nebbia o dalla pioggia?
Forse è soltanto un periodo.. ma ora che tanti impegni sono stati compiuti, mi sento quasi in dovere di recuperare i miei pensieri profondi, quelli che tengo lì, da spendere e consumare quando sento di stare troppo in pace con me stesso.
Che poi non è vero che sto in pace. Gli altri lo credono e io lascio che lo credano, non ho nulla da perderci, e loro ci guadagnano. Una preoccupazione in meno, il risparmiarsi il disturbo di domandare ogni giorno come stai.
Come vuoi che stia?
Quanto è complessa come domanda? Eppure si tende a porla ogni giorno, come se davvero interessasse ad altre persone come si “sta”.
Ovvero se abbiamo problemi oppure no. Se abbiamo pensieri per la testa oppure no.
E’ possibile non averne?
Esiste il modo di isolarsi da tutto ciò che non ci piace?
Credo che solo la morte possa farlo. E in fondo, neanche quella ci piace.
Ecco, ho sospirato. Ho scoperto che mi piace sospirare. In qualche modo il tuo stato d’animo prende forma e rumore, un rumore impercettibile, che puoi cogliere solamente tu.
E’ l’esternazione di se stessi, un’azione che ad altre persone pare così lontana, così innaturale.
Il sospiro. Il più grande sfogo umano esistente, perché innocente.
Perché non attacca niente o nessuno. Semplicemente, rilassa un animo gonfio, che non sopporta più nulla.
Allora si sospira. Si preferisce  restare in silenzio con se stessi e udire l’impercettibile suono di se stessi.
O in caso contrario, lasciare che solo quei pochi a cui veramente tieni sentano il tuo sospiro.
D’altronde mi chiedo. Ma gli altri in tutto questo?
La verità è che le persone tendono a volersi sentire compatite. Non faccio eccezione, ovvio.
Il far sapere che ci sia qualcosa di sbagliato, che non ti piace, lascia l’altro con l’amaro in bocca.
Non so spiegare la sensazione, ma sono abbastanza convinto al momento che non esiste il desiderio d’essere completamente felici. O meglio, lo si formula in astratto. Ma nel concreto, ha un senso?
Cosa si può desiderare per star bene? In effetti ben poco. Si accetta quel che si ha e si pretende poco di più, per una saggia regola che t’insegnano da piccolo secondo cui meno desideri e meno delusioni avrai.
E sì, sono convinto che il desiderio d’essere completamente felici  non possa sussistere in essere vivente. Non esiste la persona più felice di questo mondo.
Sospiro di nuovo. Mi si chiudono gli occhi. Non ho voglia di dormire. Ho voglia di lasciar scorrere qualche lacrima. Da piccolo avevo imparato a piangere a comando. Oggi credo d’essermi dimenticato come si fa. Lascio che sia tutto sempre molto spontaneo, ma non ci riesco quasi più. E mi dispiace. Sì, mi dispiace, perché il pianto è un altro sfogo , pari al sospiro. Solo che stavolta è ben visibile da tutti, e il proprio manifestarsi infelici ti porta alla consapevolezza che altri proveranno ad aiutarti, nei limiti della solitudine umana.
E non potendo essere da solo col tuo nemico personale, non farai altro che piangere. Trattenendo un sospiro.

Il me dentro me – Atto sfogo

Pubblicato: 18 novembre 2013 in Il me dentro me

Come descrivere un sentimento di rabbia di cui a malapena immagini come possa esser nato?
Descrivere o giustificare. Reprimere o gridare. Attendere. Attendere all’infinito.
Bestemmiare. Desiderio di non reprimere più un cazzo. Stufo di aspettare. Stufo di tutto.
Voglio un cazzo di spazio. Un cazzo di posto dove rifugiarmi. Bestemmiare. Un cazzo di posto dove sclerare e fare quello che mi pare. Bestemmiare. Fino a sgranare le corde vocali. A che cazzo servono le corde vocali se manco puoi gridare quando lo vuoi?
Dare un calcio o un pugno a qualcosa. Ma poi mi farei male. Bestemmiare. Esercitarmi a fare lo sguardo più incazzato che mi riesca e poi specchiarmi da qualche parte per vederlo, compiacermi e cercare di amplificarlo.
Gridare. E bestemmiare. Ma gridare. Col pugno intriso di sangue. Ma non vorrei farmi male. Odio farmi male. Le grida non fanno male. Certo, se non si grida troppo. A che cazzo servite, corde vocali di merda?
Aspettare. Gridare. Sanguinare. Calciare. Sbattere la testa. Perché ci sarà sempre qualcuno che ti avrà detto che hai la testa dura. E se ti dicono che ce l’hanno loro, hai voglia di dare una testata, così poi la sentono. E bestemmiano, e gridano, e sanguinano. Ma non calciano, troppo impegnati in una delle altre cose, o forse più.
Si possono provare due dolori contemporaneamente?
Forse fisici no.
Forse… fisici.. no.

La conta dei giorni

Pubblicato: 17 novembre 2013 in Il me dentro me

Mi sono ispirato ad una storia scritta da me, per il titolo di questo post che vorrà essere di poche righe.
Una conta di giorni consecutivi di sventure. Significa che ogni giorno mi impegnerò a monitorare se c’è stata almeno una motivazione in 24 ore degna di intitolare la giornata “di merda”. La decisione deriva dal fatto che oramai di giornate priva di elementi negativi non ne vedo più da settimane. Molte settimane. E sono stufo, veramente tanto.
Pensavo che rifugiandomi lontano dal mondo potessi stare meglio, più in pace con me stesso. Ora mi rendo conto che il regno virtuale è peggiore, ricco di contraddizioni pericolose e stressanti.
Sono al limite e ho bisogno del mio fratello Fiume. Solo, c’è fango, molto fango per arrivarci. E non solo in senso metaforico.

Sono quasi le due di notte di una serata finita male in cui mi metto a scrivere queste poche righe che come sempre nessuno leggerà.
E’ stato uno dei periodi più intensi della mia vita , non per forza brutti, ma intensi. Anzi , anche brutto. Pieno di angosce. Speranze vane che cerco di regalare ad altri, ma la verità è che non ne avevo e non ne ho per me stesso.
22 anni buttati nella merda che poi merda non è. Ma te la fanno considerare merda, perché perseguire un sogno è un divieto, in questo paese. Ti dicono di crederci, e il giorno dopo ti ritrovi le stesse persone che si laureano , lavorano, o comunque sono più avanti di te. E loro non ci credevano.
E’ un continuo andirivieni di consigli, ripetutosi in loop per anni. Anni in cui ho visto perdere davanti a me ogni strada che avrei voluto percorrere. Ne ho lasciata una sbloccata, ma mi rendo conto che non posso continuare a seguire un’idea per tutta la vita.
E’ come quando giochi a un videogioco di digimon, quando devi allenarlo a combattere. Fortificarlo, potenziarlo. E quando sei pronto a spaccare il culo a tutti, muore, perché l’hai allenato per troppo tempo ed è arrivata la vecchiaia. Il principio è lo stesso, ma qua non si muore. Accade qualcosa di più subdolo. Si spera in eterno. E la speranza è tra le cose più illusorie che possano capitarci, perché ci danno la forza d’aggrapparci a un’idea che non è altro che astrattismo.
Sì, inutile negarlo, mi sono aggrappato a un’idea. Altre persone invece coi piedi per terra hanno già tutto. Si sono lasciati una vita alle spalle, un’infanzia, un’amicizia. E le osservi da lontano mentre ti danno di spalle, come ombre circondate di luce, con il riverbero della loro voce sempre più lontana. E tu resti lì col sorriso sempre più finto, con gli occhi sempre più spenti, col cuore sempre più a pezzi.
E ascolti il riverbero. Deglutisci. E dai le spalle a tua volta. Ma non solleverai mai più il capo.

Digressione  —  Pubblicato: 16 novembre 2013 in Il me dentro me
Tag:

Tre ambienti solitari

Pubblicato: 19 settembre 2013 in Il me dentro me

Mi sei mancato, blog…
Alla fin fine tu sei sempre qua, come un cagnolino che aspetta il suo padrone che torni a casa.
Come se ti avessi abbandonato.
Come se ti avessi dimenticato…

Esistono tre confini che riescono a estraniarmi dal mondo e farmi sentire in pace con me stesso, come tornassi appunto a casa.
E guarda caso, tre ambienti solitari.
Il primo sei tu. Forse perché non spingo i post all’essere conosciuti, forse perché ti ritengo un blog personale di cui solo io ho bisogno e non altri.. resti uno spazio virtuale che per me significa molto.
Come il Nottesenzadio. Se vuoi puoi considerarlo un fratello. Tu e lui vi assomigliate. Due spazi virtuali silenziosi, l’uno, tu, che mi ascolta, l’altro che mi capisce.
Un po’ come Fratello Fiume, in questo secondo caso. Che sarebbe poi il terzo luogo di cui parlo.

Qualunque cosa cerchi di fare, ovunque cerchi di arrivare, finirà sempre che ritornerò da voi. Perché siete soli, o meglio.. solitari. Come me. Aspettate che qualcuno venga a trovarvi. Come me. Non fate nulla per farvi piacere. Come me. E non ottenete nulla, sia ben chiaro.  C’è chi predilige lo stare in compagnia, la società, quella che chiamano vita sociale. Non che io non ne abbia, ma semplicemente mi rendo conto che è impossibile stare da soli con se stessi immersi tra la gente.
Vabè per il momento mi limito a lasciare queste poche righe nella speranza che il minor numero possibile di persone possa leggerle. E casomai le leggano, vorrei che vi lasciaste infondere da un po’ di tristezza.. da un brivido d’amarezza.. e proviate anche voi a restar da soli. Anche solo per qualche ora…